ERNESTO DE ANGELIS
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La scuola Napoletana

La Liuteria ad Arco Napoletana 
elementi costruttivi della scuola napoletana

autore: Ernesto de Angelis





La tavola e il fondo
Analizzando gli elementi caratteristici della scuola napoletana, troviamo l'uso frequente di legno tagliato tangenzialmenete e non di quarto. La tavola non raramente era realizata in un sol pezzo, ed il fondo, anch'esso spesso in un sol pezzo, aveva scarsa o nulla marezzatura. Ciò deriva dal fatto che, per costruire strumenti venivano spesso usate le "tavole per il letto", le quali erano generalmente in abete (le più economiche) o in acero (le più costose). I nostri padri ricordano bene che durante l'ultima guerra mondiale, dopo i bombardamenti, la povera gente accorreva ove qualche palazzo era crollato per recuperare ciò che rimaneva di utilizzabile. Ed i liutai napoletani recuperavano le tavole di letto con cui avrebbero potuto costruire qualche violino. 
         

Controfasce
La liuteria classica impone che zocchetti e controfasce siano sempre della stessa essenza (abete o salice), possibilmente ricavando il tutto da un unico blocco, in modo da avere gli stessi coefficienti di dilatazione. Come già accennato, nella liuteria napoletana molto spesso le controfasce, erano di essenza diversa dagli zocchetti. Mentre questi ultimi sono sempre, rigorosamente, di abete, le controfasce sono spesso in faggio, legno fino a pochi anni orsono usato in Campania per costruire cassette per il pesce o per la frutta, legno già listellato e quindi più facile da portare allo spessore voluto. 
         

Filettatura
Un'altra particolarità dei violini napoletani è costituita dai "filetti". Negli strumenti pù economici questi mancano del tutto o sono sostituiti da sottili scanalature riempite poi con inchiostro nero. Molti altri strumenti del '700 e dell'800 spiccano per l'eleganza dei filetti con il nero sempre molto sottile. A Napoli, per il filetto nero veniva spesso usato, non pero tinto come a Cremona, ma della economica carta nera, e qualche liutaio, per risparmiare ancor di più, ha addirittura usato la carta che avvolgeva i maccheroni, la quale non era nera ma rigorosamnte blu scuro, indipendentemente dalla marca dei maccheroni. Questo particolare può essere facilmente rilevato dalla presenza di un alone bluastro intorno alla filettatura, diventata con gli anni di un affascinante colore grigio-azzurro, in quanto il colorante usato per tingere la carta veniva col tempo parzialmente estratto dalle vernici. Questa caratteristica la si ritrova costantemente nei violini di Nicola II Gagliano ed in alcuni violini di Della Corte e di Pistucci. 
         

Riccio
La particolare scultura del riccio è spesso l'elemento più probante di appartenenza alla scuola napoletana. Non esiste un tipico "riccio napoletano" e solo l'analisi di alcune particolarità della scultura possono permetterne l'attribuzione a questa scuola. Come già detto, infatti, è sempre stata tanto spiccata l'individualità dei singoli liutai napoletani che ognuno di essi ha introdotto variazioni personali più o meno sostanziali rispetto al modello dei maestri. Anche nella lunga tradizione della famiglia Gagliano, mentre troviamo misure e forme della cassa abbastanza costanti, ed "ff" in pratica sempre eguali, i ricci permettono quasi semre di individuare il componente della famiglia autore del singolo strumento. Analizziamo ora le caratteristiche di un ipotetico "ideale" riccio napoletano, tenendo presente che queste sono le caratteristiche più frequentemente riscontrate nei ricci napoletani in generale, ma che raramente si ritrovano insieme in un singolo riccio. Paragonando questo riccio ideale con quello classico cremonese, da cui teoricamente esso discende, troviamo che mentre la chiocciola si sviluppa in quest'ultimo secondo un ovoide posizionato orizzontalmente nello spazio, nella scuola napoletana esso è inclinato di alcuni gradi in avanti ed in basso rispetto allo strumento. Il bottone centrale è in genere posizionato più in basso, con le estremità arrotondate e non squadrate, ed è più largo di alcuni mm (in genere 46-47 mm). La prima voluta è sempre più piccola ma più sporgente, a volte anche di molto, tanto da giustificare pienamente il termine di "riccio con le orecchie" che ad esso si da a Napoli, perchè tale è l'effettiva sensazione che si percepisce osservandolo. La seconda voluta (specie nei ricci di Lorenzo Ventapane) è spesso molto ampia ed in genere è pochissimo sgusciata. Nella scuola cremonese, la cassetta dei piroli, specie osservata posteriormente, ha facce parallele per circa 2/3 della sua lunghezza. Nella scuola napoletana essa ha invece un andamento sempre a cuneo, con facce convergenti per tutta la sua lunghezza, terminando in basso con un arco di cerchio più stretto di quello cremonese. Le dimensioni generali del riccio sono quasi sempre generose (Gennaro Gagliano, Lorenzo Ventapane, etc.) ma non mancano esempi di riccio piccolo (Giuseppe, Giuseppe e Antonio Gagliano), in cui su una cassetta dei piroli di dimensioni 4/4 viene scolpito un riccio di dimensioni tra ½ e 3/4 che rispetta, comunque, i canoni estetici della famiglia. 
         

Nocetta
Un'altra particolarità della scuola napoletana, abbastanza costante, è la tipica scultura della nocetta del fondo che raramente è a tutto tondo come nella scuola cremonese, ma più spesso è di tipo "gotico", ovvero più o meno triangolare, ricordando la scuola tedesca da cui esso, e molti altri elementi "napoletani" forse discendono. Non bisogna infatti dimenticare che molti antichi autori napoletani (Popeller, Eberle, Bairhoff) erano tutti di origine tedesca. 
         

Sottofondo
Pochi autori napoletani hanno fatto uso di mordenti dati come sottofondo, limitandosi i più all'uso di tè o di caffè per meglio evidenziare la marezzatura dell'acero. Merita ricordare Alfredo Contino che quasi costantemente ha usato trattare i suoi strumenti con bicromato di potassio, a volte eccedendo tanto nelle concentrazioni che i suoi strumeti con il tempo hanno assunto colorazioni di fondo verdastre. Cosa inusuale, Contino spesso trattava anche la tavola con bicromato, con il risultato di ottenere macchie brune in tutte le parti in declivio della tavola ove la fibra, tagliata "di testa", assorbe maggiormente di quella tagliata longitudinalmente. 
         

Vernice
Da tutti riconosciuta tra le migliori è la vernice napoletana. La splendida vernice ad olio (o secondo alcuni di tipo misto) di color oro o ambra scuro che ricopre la maggioranza degli strumenti del '700 e dell'800 è sempre sottile, trasparentissima e resistente al punto da ricoprire quasi sempre interamente gli strumenti giunti ai nostri giorni. E' sorprendente come i maestri napoletani che, come abbiamo detto vengono ritenuti non molto raffinati nell'esecuzione degli strumenti, siano universalmente considerati dei grandi esperti nella preparazione di vernici. Queste, specie nel '700 e nell'800 sono sempre bellissime e solo occasionalmente, negli autori minori del tardo '800, possono presentare occasionali e limitate aree di retinatura, così comuni in strumenti di altre scuole italiane come ad es. quella torinese e quella veneziana. Solo occasionalmente il giallo bruno è stato sostituito dal bruno scuro nelle vernici ad olio mentre non mancano colori inusuali come l'arancio, o il rosso aragosta. Nel tardo 800 e nel 900 divennero poi comuni vernici a base alcolica di più facile preparazioe ed applicazione. 
          Concludendo, gli spessori sempre generosi, la paricolare forma del riccio con il bottone spostato generalmente in basso e la pima voluta sporgente, il particolare intaglio delle "effe", la sottile filettatura, così come la splendida vernice giallo-bruna o rosso-bruna, sono elementi così particolari da permettere all'occhio esperto di attribuire senza grossi dubbi uno strumento alla scuola napoletana. 
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